SCAGLIE D’ORO BIANCO

È la storia di un abbraccio

È la storia di un abbraccio. Un abbraccio simbiotico. In cui ognuno rispetta gli spazi dell’altro, ma non può esistere senza l’altro. Questa è la storia di un fungo, che per trasformarsi in oro bianco si affida al suo albero: dalle sue radici estrae gli zuccheri per il suo nutrimenti, e, per, ringraziarlo, gli restituisce i sali minerali. È un duetto. Ha bisogno del suo albero per esprimere la sua essenza. Altrimenti rimarrebbe un semplice fungo, uno tra i tanti nell’orchestra del sottobosco. Invece no. Lui deve essere Mozart. “Il Mozart dei Funghi”. Gioacchino Rossini dixit.

 

La sinfonia che crea è velluto, avvolge e trasporta. Accarezza e colpisce. Già i Sumeri si erano accorti della sua potenza, già i romani avevano capito la sua preziosità, tanto che Apicio nel suo personalissimo ricettario “De Re Coquinaria” lo inserisce nel libro delle pietanze costose. Ma si sa, arriva il Medioevo e quel velluto voluttuoso viene lasciato agli animali del bosco. Corsi e ricorsi storici, il mondo rinasce, l’uomo finalmente si mette al centro e con sé ci porta questo tubero, che poi tubero non è.

 

Caterina de’ Medici dà quattro lezioni di gusto alla Francia e apre le danze: perché cercare il tartufo per i nobili di allora era il divertissement, simbolo eccelso dello snobismo. Un’antenata della caccia all’oro. Solo che qui le pepite più preziose, una volta tolta la polvere, sono di colore bianco. E striate.

 

Lo hanno chiamato Tuber Magnatum Pico, per nobilitarlo ancor di più, senza pensare che quella nobiltà è proprio la terra a dargliela. Bisogna solo avere il terreno giusto, la giusta umidità e aspettare. Inutile cercare di ricreare le condizioni per farlo crescere, si nasconde indispettito da chi vuole ingannare i cicli della Natura. Solo la Madre Terra conosce quel mix perfetto che fa sì che quel fungo diventi un tartufo odoroso. Bianco. Della specie più pregiata. Non c’è bisogno di aggiungere nient’altro. Anzi. Va aggiunto agli altri ingredienti per renderli ancora più gustosi, per replicare nel piatto quell’abbraccio iniziale con l’albero che l’ha fatto crescere. Strano, è forse l’unico caso in cucina di un elemento che riesce a essere ancora più solista se è in sinfonia con gli altri. Ma del resto, lui è Mozart. Lui è il Tartufo Bianco Pregiato di Acqualagna.

 

 

Chef Paolo Antinori, a Lei la parola: com’è allora il Suo Ginevra in scaglie?

Aspetta un secondo, vado un attimo a prendere il tartufo…Ora te lo racconto il menu, ma aspetta, prima voglio farti sentire il profumo di questa meraviglia. Inizio a tagliare le scaglie, lentamente. Vedi, passano attraverso la lama, sono così soffici che sembrano piume sopra quel nido di tagliolini. Si adagiano, come se sapessero già dove devono andare a posizionarsi per equilibrare il sapore. Si sciolgono in bocca con quel burro di malga che fa da sottofondo.

 

Dicevamo del menu a scaglie….

Ma, aspetta…prima di dirti il menu ti voglio far vedere lo ying e lo yang, il bianco e il nero: guarda quanto risaltano quelle scaglie nere sopra il bianco della stracciatella. Scioglievolezza del latte, avvolgenza della rondella. Accoppiata indissolubile. Come lo ying e o yang.

 

Iniziamo con il menu, me lo legge?

Sì, sì, ora te lo racconto il menu, ma prima devi vedere con i tuoi occhi la parola cremosità. Nuances di giallo. Dal più delicato al protagonista. La fonduta di patate rosse di Colfiorito accoglie l’uovo poché, il timido, quello dal cuore tenero, che va scoperto nel suo giallo intenso. Quello che si apre quando sente il profumo bianco di scaglie leggere. È una nevicata.

Dammi un ultimo secondo, poi iniziamo…devo comporre questo piatto, devo aspettare che il crostone sia croccante al punto giusto per poterci adagiare sopra un succosissimo filetto di Fassona. Qui il gioco è semplice, non c’è bisogno veramente di nient’altro se non di una trifolata di scaglie bianche. Senti che profumo, vedi come scendono lente sopra la carne. La impreziosiscono. La ingentiliscono.

Eccomi…ci sono. Da dove iniziamo per raccontarti il menu?

 

Non serve, Chef. Ha già detto tutto.

 

 

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